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veduta mai, mai. Le sue vesti mi lasciavano trasparire i
Letteratura italiana Einaudi 55
Ugo Foscolo - Ultime lettere di Jacopo Ortis
contorni di quelle angeliche forme; e l anima mia le con-
templava e che posso più dirti? tutto il furore e l estasi
dell amore mi aveano infiammato e rapito fuori di me.
Io toccava come un divoto e le sue vesti e le sue chiome
odorose e il mazzetto di mammole ch essa aveva in mez-
zo al suo seno sì sì, sotto questa mano diventata sacra
ho sentito palpitare il suo cuore. Io respirava gli aneliti
della sua bocca socchiusa io stava per succhiare tutta
la voluttà di quelle labbra celesti un suo bacio! e avrei
benedette le lagrime che da tanto tempo bevo per lei
ma allora allora io la ho sentita sospirare fra il sonno: mi
sono arretrato, respinto quasi da una mano divina. T ho
insegnato io forse ad amare, ed a piangere? e cerchi tu
un breve momento di sonno perché ti ho turbato le tue
notti innocenti e tranquille? a questo pensiero me le so-
no prostrato davanti immobile immobile rattenendo il
sospiro e sono fuggito per non ridestarla alla vita an-
gosciosa in cui geme. Non si querela, e questo mi strazia
ancor più: ma quel suo viso sempre più mesto, e quel
guardarmi con pietà, e tacere sempre al nome di Odoar-
do, e sospirare sua madre ah! il cielo non ce l avrebbe
conceduta se non dovesse anch essa partecipare del sen-
timento del dolore. Eterno Iddio! esisti tu per noi mor-
tali? O sei tu padre snaturato verso le tue creature? So
che quando hai mandato su la terra la Virtù, tua figliuo-
la primogenita, le hai dato per guida la Sventura. Ma
perché poi lasciasti la Giovinezza e la Beltà così deboli
da non poter sostenere le discipline di sì austera istitutri-
ce? In tutte le mie afflizioni ho alzato le braccia sino a te,
ma non ho osato né mormorare né piangere: ahi adesso!
Or perché farmi conoscere la felicità s io doveva bra-
marla sì fieramente, e perderne la speranza per sempre?
No, Teresa è mia tutta; tu me l hai assegnata perché mi
creasti un cuore capace di amarla immensamente, eter-
namente.
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Ugo Foscolo - Ultime lettere di Jacopo Ortis
13 Maggio
S io fossi pittore! che ricca materia al mio pennello!
L artista immerso nella idea deliziosa del bello addor-
menta o mitiga almeno tutte le altre passioni. Ma se
anche fossi pittore? Ho veduto ne pittori e ne poeti la
bella, e talvolta anche la schietta natura; ma la natura
somma, immensa, inimitabile non la ho veduta dipinta
mai. Omero, Dante e Shakespeare, tre maestri di tutti
gl ingegni sovrumani, hanno investito la mia immagina-
zione ed infiammato il mio cuore: ho bagnato di caldis-
sime lagrime i loro versi; e ho adorato le loro ombre di-
vine come se le vedessi assise su le volte eccelse che
sovrastano l universo a dominare l eternità. Pure gli ori-
ginali che mi veggo davanti mi riempiono tutte le poten-
ze dell anima, e non oserei, Lorenzo, non oserei, s anche
si trasfondesse in me Michelangelo, tirarne le prime li-
nee. Sommo Iddio! quando tu miri una sera di primave-
ra ti compiaci forse della tua creazione? tu mi hai versa-
to per consolarmi una fonte inesausta di piacere, ed io la
ho guardata sovente con indifferenza. Su la cima del
monte indorato da pacifici raggi del Sole che va man-
cando, io mi vedo accerchiato da una catena di colli su
quali ondeggiano le messi, e si scuotono le viti sostenute
in ricchi festoni dagli ulivi e dagli olmi: le balze e i gioghi
lontani vanno sempre crescendo come se gli uni fossero
imposti su gli altri. Di sotto a me le coste del monte sono
spaccate in burroni infecondi fra i quali si vedono offu-
scarsi le ombre della sera, che a poco a poco s innalzano;
il fondo oscuro e orribile sembra la bocca di una voragi-
ne. Nella falda del mezzogiorno l aria è signoreggiata dal
bosco che sovrasta e offusca la valle dove pascono al fre-
sco le pecore, e pendono dall erta le capre sbrancate.
Cantano flebilmente gli uccelli come se piangessero il
giorno che muore, mugghiano le giovenche, e il vento
pare che si compiaccia del susurrar delle fronde. Ma da
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Ugo Foscolo - Ultime lettere di Jacopo Ortis
settentrione si dividono i colli, e s apre all occhio una in-
terminabile pianura: si distinguono ne campi vicini i
buoi che tornano a casa: lo stanco agricoltore li siegue
appoggiato al suo bastone; e mentre le madri e le mogli
apparecchiano la cena alla affaticata famigliuola, fuma-
no le lontane ville ancor biancicanti, e le capanne di-
sperse per la campagna. I pastori mungono il gregge, e
la vecchiarella che stava filando su la porta dell ovile,
abbandona il lavoro e va carezzando e fregando il torel-
lo, e gli agnelletti che belano intorno alle loro madri. La
vista intanto si va dilungando, e dopo lunghissime file di
alberi e di campi, termina nell orizzonte dove tutto si
minora e si confonde. Lancia il Sole partendo pochi rag-
gi, come se quelli fossero gli estremi addio che dà alla
Natura; e le nuvole rosseggiano, poi vanno languendo, e
pallide finalmente si abbujano: allora la pianura si per-
de, l ombre si diffondono su la faccia della terra; ed io,
quasi in mezzo all oceano, da quella parte non trovo che
il cielo.
Jer sera appunto dopo più di due ore d estatica con-
templazione d una bella sera di Maggio, io scendeva a
passo a passo dal monte. Il mondo era in cura alla Not-
te, ed io non sentiva che il canto della villanella, e non
vedeva che i fuochi de pastori. Scintillavano tutte le
stelle, e mentr io salutava ad una ad una le costellazioni,
la mia mente contraeva un non so che di celeste, ed il
mio cuore s innalzava come se aspirasse ad una regione
più sublime assai della terra. Mi sono trovato su la mon-
tagnuola presso la chiesa: suonava la campana de morti,
e il presentimento della mia fine trasse i miei sguardi sul
cimiterio dove ne loro cumuli coperti di erba dormono
gli antichi padri della villa: Abbiate pace, o nude reli-
quie: la materia è tornata alla materia; nulla scema, nulla
cresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si ri-
produce umana sorte! men felice degli altri chi men la
teme. Spossato mi sdrajai boccone sotto il boschetto
Letteratura italiana Einaudi 58
Ugo Foscolo - Ultime lettere di Jacopo Ortis
de pini, e in quella muta oscurità, mi sfilavano dinanzi
alla mente tutte le mie sventure e tutte le mie speranze.
Da qualunque parte io corressi anelando alla felicità,
dopo un aspro viaggio pieno di errori e di tormenti, mi
vedeva spalancata la sepoltura dove io m andava a per-
dere con tutti i mali e tutti i beni di questa inutile vita. E
mi sentiva avvilito e piangeva perché avea bisogno di
consolazione e ne miei singhiozzi io invocava Teresa.
14 Maggio
Anche jer sera tornandomi dalla montagna, mi posai
stanco sotto que pini; anche jer sera io invocava Teresa.
Udii un calpestio fra gli alberi; e mi parea d intendere
bisbigliare alcune voci. Mi sembrò poi di vedere Teresa
con sua sorella sbigottitesi a prima vista fuggivano. Io
le chiamai per nome, e la Isabellina raffigurandomi, mi
si gittò addosso con mille baci. Mi rizzai. Teresa s ap-
poggiò al mio braccio, e noi passeggiammo taciturni
lungo la riva del fiumicello sino al lago de cinque fonti.
E là ci siamo quasi di consenso fermati a mirar l astro di
Venere che ci lampeggiava su gli occhi. Oh! diss ella,
con quel dolce entusiasmo tutto suo, credi tu che il Pe-
trarca non abbia anch egli visitato sovente queste solitu-
dini sospirando fra le ombre pacifiche della notte la sua
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