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l estrema impermanenza della mia identità mi rendeva
inetta a conseguire una qualsiasi competenza professio-
nale. Presi coscienza di un fondamentale disaccordo,
una incapacità di acconciarmi al mio rapinoso destino.
Intanto, era chiaro, la confusione era superiore al livello
economico. Un certo margine di oscillazione era sempre
stato tollerato, e la versatilità incoraggiata: ma nel mio
caso si era andato oltre ogni limite di convenienza. Che
nel giro di una settimana mi toccasse essere vampiro, pa-
dre nobile, matrigna assassina e ammazzata, ragazza vir-
tuosa avvelenata, rospo con anima di principe, serpe in-
namorato di principessa, principe con animo di orango,
tutto ciò era oneroso, sciocco, dispersivo. Ero un buon
rospo, un serpe discreto, una mediocre ragazza virtuosa,
come vampiro ero di una intollerabile retorica, ero una
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Giorgio Manganelli - Hilarotragoedia
matrigna da infima filodrammatica. Quando avevo per
le mani fatture venefiche, o ammazzavo una casata o
causavo niente piú che impacci alla digestione; e di qui
venivano imbrogli, scambi di parti, il caos di una serie di
copioni sconvolti e da riordinare. Mi capitò inoltre di
aggravare queste confusioni oggettive con altre che direi
soggettive: mi innamorai di un drago, sbagliai bicchiere
e mi avvelenai da me stesso, amai per sentito dire una
principessa che ero io in una precedente edizione. Tutto
ciò è grottesco. Ma devo aggiungere ancora qualcosa,
qualcosa che il mio naturale, selvatico pudore fino a
questo momento mi ha impedito di dire: io soffrivo. Sof-
frivo orribilmente. Innamorarsi di un drago, un drago,
notate, che era mio compito uccidere! Un drago di fac-
cia empia ed oscena, di occhio feroce e idiota, e adorno
solo del gran prestigio delle ali meravigliose, sgargianti,
arcobalenanti, morbide e metalliche& Per quelle ali il-
lusorie si può spasimare. Illusorie, dico: giacché in nes-
sun caso avrebbero potuto sollevare in volo la torpida
bestiaccia che ad esse sottostava. Ma, insomma, io lo
amai. E, in virtú della febbrile rapidità dei miei muta-
menti, lo amai prima come fanciulla legata allo scoglio
in attesa di essere divorata. Lo amai non appena lo vidi
emergere dalle acque, amai l orrido, il mirabile, il tre-
mendo, l ottuso, e indugiai in stremata delizia, in attesa
di cedere ai suoi denti& Io, la ragazza sullo scoglio, do-
vevo, secondo le didascalie trascritte nell irta grafia ar-
caica dei favolisti, dovevo, dico, dare in grandi urla e di-
vincolarmi e invocare uomini e dèi; ma non emisi voce.
E già semimorta mi abbandonavo alle fauci deliziose ed
atroci, quando il frettoloso buttafuori faceva rotolare
sulle tavole del palcoscenico il guerriero con destriero e
corazza. Aveva un compito facile, da maggiordomo:
guardare la ragazza, amarla, uccidere il mostro, sposare
la ragazza. Troppo, troppo facile. Tenete il fiato un
istante; attenzione: avvertite lo scatto metallico? Io non
Letteratura italiana Einaudi 103
Giorgio Manganelli - Hilarotragoedia
sono piú la ragazza innamorata e moribonda. Sono il
guerriero. E non mi innamoro della ragazza. Mi innamo-
ro del mostro. Amore omosessuale? Forse, in quello
stesso istante, coinvolto nella stessa sarabanda di tra-
sformazioni, il drago diventava femmina. Intanto, io non
riuscivo a cavare il brando  cosí dovevo chiamarlo,
«brando», come fossi un docente di liceo  dal fodero.
Le ossa della mia sposa crocchiavano sotto la meccanica
dentiera, ed in cuor mio, sordido di gelosia, me ne ralle-
gravo. Guardavo incantato il mostro, indugiavo, lo ama-
vo. Nuovo iracondo intervento del buttafuori, ché altri-
menti mi sarei fatto mangiare, senza opporre eccezione
alcuna. Destino passivo.
Intanto, in brevi istanti avevo sofferto tutta una serie
di ineffabili dolori, parte amorosi, parte astratti e filoso-
fici: l insieme di amore e volontà di morire che avevo
sperimentato quand ero legata allo scoglio mi aveva af-
fascinato come orribile gorgo; ma chi dirà il lancinante,
eroico e inconfessabile tormento del guerriero che si di-
scopre innamorato del suo naturale nemico, e vede stra-
ziata la donna che era suo copione salvare, e che razio-
nalmente riconosce a sé una unica soluzione, fuori dalla
vergogna di quell amore inane, cioè farsi mostro? Vi so-
no, indicate in quale catalogo degli ordegni del dolore,
lacrime idonee ad ornare e nobilitare cosí vergognosa
inettitudine? Se vi sono, io dovrei conoscerle, giacché le
piansi tutte. Quale disperazione crebbe dentro di me.
Presi ad odiarmi. Introdussi nelle mie favole ulteriori,
piú disordinate varianti. Sul punto di consegnare una
mela avvelenata  una delle tante, infinite mele avvelena-
te che tengono lo stesso luogo dei timbri nella vita di un
miserrimo alunno d ordine  ad una giovinetta sacrifi-
canda, mi sentii travolto da cosí viva repugnanza morale
che in due bocconi io mi divorai la mela, davanti agli oc-
chi esterrefatti e disapprovanti della femminetta, che
mostrava di possedere coscienza araldica assai piú alta
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di questo esibizionista figlio di Re! Fingevo di perdere la
cassetta dei veleni, e solerti trovaroba me la rintracciava-
no; buttavo in un angolo la mia risibile corona, e quella
da sé mi rotolava in capo; cercavo di acquttarmi come
serpe o scorpione dietro le travi, tra i mattoni sconnessi
del mio topesco castello, e mi cavavano fuori come un
vestito invernale, mi rinfrescavano su un ballatoio, e via,
da capo, a operare le mie stolte nequizie.
Una sera, sfinito di quella trista commedia di far da
strega fra gente parte dabbene parte inesistente, io capii
che tutta la mia malvagità e la mia solitudine mi erano
estranee; io non avevo un anima araldica. Quella volta [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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